LA STORIA

Un passato ricco di tradizione

Anno 1046

L’uso dell’aceto era conosciuto fin dalle più antiche civiltà; numerose sono le testimonianze letterarie da Virgilio nelle Georgiche, che già descrive “la consuetudine di cuocere il mosto”, ad Apicio che documenta l’uso del mosto cotto nella preparazione dei cibi, fino all’epoca dei Duchi Estense, Signori di Ferrara e Modena.

 

DONIZONE, Vita Mathildis; libro I, cap. XIII, vv. 979-998.

racconta di “quel famoso aceto” che il marchese di Toscana Bonifacio inviò al re Enrico III futuro imperatore di Germania, insieme ad altri beni.  Il re, in viaggio verso Roma per farsi incoronare dal Papa, aveva fatto tappa nella città di Piacenza, gradì assai quel grande e magnifico dono.

Lettera che accompagna l’aceto mandato dal  Marchese Bonifacio al re Enrico II – Settembre 1046

Anno 1730

La consuetudine di fare dell’aceto balsamico tradizionale un dono prezioso alle persone di riguardo continua come ai tempi di Enrico III. Ricordi antichissimi ci riportano a quando se ne donava un’ampolla della migliore produzione al medico di famiglia o all’avvocato.

Nel 1730 il duca Rinaldo I d’Este e la duchessa Carlotta Felicita di Brunswick ne donarono un’ampolla a Lodovico Antonio Muratori (1672 – 1750), storico e direttore della Biblioteca Estense, come riconoscimento dell’opera da lui svolta. Pare che l’esimio storico trattasse tale dono, come da sua abitudine professionale, alla stregua di un libro prezioso, che va conservato per i posteri, affinché ne possano intendere il contenuto e l’essenza.

Il dono di aceto balsamico da parte del duca Rinaldo 1 d’Este – Anno 1730

Anno 1774

Alla fine del 16° secolo la città di Modena era diventata capitale del Ducato Estense. All’epoca e in quelle successive risalgono diversi documenti che attestano in modo esplicito l’interessamento della corte ducale per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena come “arricchimento” per le loro tavole e quale dono raro a personaggi di rilievo. 

Lettera di Antonio Boccolari ad Antonio Tecchi.

“Ill.mo Sig Padron Colendissimo 13 Nove 1774 Un animo generoso si conosce non meno nell’accettare li piccoli doni, che nel donare li grandi. Incoraggiato da questa riflessione ardisco fare presentare a Vs. Ill.ma quattro piccole Boccie del mio Aceto Balsamico, quale fuori d’essere assai vecchio altro preggio certamente non ha.

Supplico osseq.te Vs. Ill.ma a degnarsi gradire in simile debolezza il puro atto di rispetto; e similmente di scrivermi al ruolo de suoi devot.mi servitori, che come tale ho l’onore di protestarmi.

Di Vs. Ill. ma. Modena 13 9mbre 1774 ps. Al fine di assicurarmi che l’aceto non sia cambiato ho segnato la Cassetta, e Boccie con la presente cifra ed è franca di porto.”

Lettera di Antonio Boccolari ad Antonio Tecchi – 13 Novembre 1774

Anno 1862

Le testimonianze sull’Aceto Balsamico Tradizionale si rafforzano nell’Ottocento, consultando gli elenchi dotali delle nobili famiglie reggiane. All’epoca era buona norma arricchire la dote della donna che stava per sposarsi con vaselli di aceto balsamico pregiato e batterie di botticini contenenti il prezioso “oro nero”.

Pietra miliare è la lettera che l’avvocato Francesco Agazzotti scrisse nel 1862 all’amico Pio Fabriani, nella quale si descrive in modo particolareggiato la procedura per la produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, lettera che è diventata per i modenesi il breviario per la cura e la conduzione dell’acetaia.

Lettera di Francesco Aggazzotti all’ “Ill.mo Sig. Avv. Pio Fabbriani Modena”:

Dell’aceto balsamico modenese (Modena 2 Marzo 1862.)
L’esperienza praticata ab immemorabili, dà la preferenza per la confezione dell’aceto balsamico all’uva bianca ossia gialla e precisamente alla Trebbiana, che prospera benissimo nelle modenesi colline di Solignano, Torre, Castelvetro, Levizzano; è uva di grani sferici, non molto fitti, grappolo piuttosto allungato, che prende un bel colore d’oro, ed è delle ultime a maturare, sicché non raro è sorpresa dalle brinate sulla pianta; è pure quella che, sottoposta al processo per ottenere alcool, fornisce un maggior prodotto di qualsiasi altra nostrale, ma non ne sarebbe prezzo dell’opera, riescendone assai più proficuo l’impiego nell’acconciare i cosidetti mezzi vini per uso domestico ed anche nella confezione del vino di famiglia, il quale riesce abbastanza buono e di lunga durata anche con solo una parte d’acqua sopra nove parti d’uva suddetta. Giunta pertanto a maturazione della Trebbiana, raccoglisi, pigiasi, o ponesi in tino come praticasi per solito nella vinificazione; ma appena sviluppatasi la fermentazione vinosa, circa dopo ventiquattro ore, ossia appena che saranno venuti a gala le capelle e le graspe (levato il capello), come dicesi, spillasi il mosto passandolo per setaccio non molto fitto o canestro di vimini…

Lettera dell’avvocato Francesco Aggazzotti – 2 Marzo 1862

Oggi

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